giovedì 11 luglio 2013

Non hanno mai trovato il suo cadavere.

foto appesa al muro, sopra il suo letto in cabina.


Rafel abitava poco distante da casa mia.Non hanno mai trovato il suo cadavere. Molti abitanti di Las Rosas si sono dimenticati di lui. Io invece non mi ricordo più cosa provassi per lui.
Mio fratello Sergio lo ha picchiato un'infinità di volte perché la notte mi lanciava i sassi contro le finestre. Mi ha scassato dodici vetri, DODICI, prima di trovarsi la canna di una pistola in bocca. Non ha più sfasciato niente da quel giorno. Sergio è un tipo pratico.
Non posso raccontare di Rafel senza dire che suo padre era un giocatore d'azzardo che rubò delle casse di armi a una banda del quartiere per rivenderla in giro. Oh man, è stata proprio una disgraziata. E io non posso sputare sulla faccia dei poveracci perché lo so che umiliazione è campare coi figli che si sparano sotto casa. Rafel è uno di quei ragazzi nati spacciati. Una volta dissi : l'unica opportunità che abbiamo è il libero arbitrio. Minchiate.

Rafel aveva gli occhi neri come le ruote delle jeep che cambiava ogni settimana. Comprava vestiti ogni giorno e portava un paio di dosi a mia madre, quella naturale. Si scrive così? Fa lo stesso.
"Bisogna incollare gli errori alla parete per nascondere buchi troppo costosi per quelli come noi."
"Vabbé ma mi offri la cena o stai facendo il giro largo per scaricarmi a casa?"
"Hai capito che ho detto?"
"Oggi hai guardato il culo a quella."
"Fanculo Cortes sei una cretina, andiamo a mangiare"

Avevo capito cosa stava cercando di dirmi, ne ero infastidita. Mi sentivo impotente. Ricordo che una volta durante un incontro clandestino di pugilato mi slogò una spalla con un cazzotto, mi riportò a casa finendo col sedersi sulle scale fuori la porta incassando, senza battere ciglio, uno sputo e sette bestemmie. Mie naturalmente. La mattina dopo c'erano dei fiori appassiti sotto il mio letto e un bigliettino:
"Stupida, mi venderei pure mia madre per te."

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Dos Santos Rafel è stato uno spacciatore per diletto, ma divenne presto il contabile dei narcotrafficanti. Sapeva contare bene. Cortes si rifiutò di imparare la matematica e forse le cose erano collegate. Smise presto di smerciare grammi per strada. Viveva in una casa tutta sua, e ogni giorno gli arrivava una valigia con dei soldi. Chili di contati che venivano controllati da una squadra di tre persone. Tutti a mano. Uno per uno. Una volta appurato che non mancasse nulla, venivano ceduti a imprenditori, prestanomi di politici, la lista è lunga. Si riciclavano in modo pulito, questa era la regola fissa. La sua vita era tutta in una valigia. Iniziò a vedere Moloko Cortes una volta al mese, perché non aveva più tempo. Ma questo Moloko Cortes non lo ricorda o non lo vuole ammettere perché i morti hanno solo pregi. Una sera, steso sul letto nella sua camera, fissò il soffitto. Qualcuno bussò alla porta. Si alzò, il letto era integro, la sua ombra scura era scivolata fino alla maniglia. A terra c'erano i soldi. Li prese. La mattina dopo fece una cosa strana, una cosa che non aveva mai fatto in tutta la sua vita. Lo fece e basta, non perché Cortes gli avesse chiesto qualcosa. Prese la valigia la portò in un posto selvatico e incolto fuori da Maracay. Seppellì tutto sotto metri di terra e tornò a casa. Chiamò i suoi contatti, disse la verità. Disse che la valigia non c'era più, che questa vita, questa gente ( i narcotrafficanti, le bande, la mafia ) si era presa ogni cosa e ora toccava a lui prendersi qualcosa. I loro soldi erano qualcosa.
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Una mattina mi vennero a prendere tre uomini e Rafel. Ci ho messo un paio di secondi a capire che sarebbe finito tutto di merda. Gli occhi premuti a terra, il sudore dietro il collo, le armi senza sicura, i sorrisi facili. Rafel era già stato condannato. Io non sapevo. Stavo zitta, non volevo chiedere perché non avrei mai potuto gestire il terrore della verità, la vita non era più mia, non mi apparteneva più. Quel Thor era un buco nero, le mie gambe annegate, tremavano. Avevo una paura fottuta, mai vista. Ci portarono in un luogo strano, sembrava una cava, c'erano dei lavori in corso. Davanti a noi una montagna di terra mangiata. Dettaglio fondamentale era una vasca piena di cemento vivo. Mi misero a guardare con un fucile dietro la testa. Qualcuno intanto mi spiegava perché Dos Santos veniva legato e immerso dentro quella vasca. Gli chiesero di parlare quando il cemento lo aveva coperto fino al collo. Lui non disse ne si ne no, insegnò a tutti noi che quando si muore con onore chi sta a guardare verrà completamente distrutto.
Io ero distrutta, non mi viene in mente nessuna parola più precisa di questa. Gli ho visto la testa rasata e la bocca chiusa svettare nel boato del mio respiro. Senza fiatare mi sono accorta che stavo indietreggiando verso il fucile. Mi ero chinata in un conato di vomito. Mi sono piegata e umiliata perché qualcuno era morto con onore.
Non ho più sentito nulla di così atroce, neanche serenity valley è riuscita a scuotermi, neanche gli sciacalli che cercavano di violentarmi. Tutte queste cose sono state infilate in una fossa ben più grande e ben più accogliente di quanto non fosse necessario a contenerle.





Hanno ucciso Rafel Dos Santos facendolo annegare e fondere con un blocco di cemento.Non hanno mai trovato il suo cadavere. Questo a Renee Bolivar non l'ho detto, non ho specificato che c'ero anche io a guardare. Nessun essere umano dovrebbe portare questa croce, sopratutto se è un mio fratello.
Nessuno dovrebbe sentire la fame della miseria inghiottirti e immobilizzarti come se il tuo corpo fosse niente.

"voi vi siete presi la mia vita e io mi prendo la vostra valigia"




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